terça-feira, 30 de abril de 2013

ITÁLIA IV - ITALIA IV - ITALY IV


Novo Governo de Itália liderado por Enrico Letta do Partito Democratico (PD), indigitado pelo Presidente da República Giorgio Napolitano. O Movimento 5 Stelle com a sua posição não construtiva conseguiu unir o PD, o PDl liderado por Berlusconi e o partido de Mario Monti. Temos esperança que seja mais um contributo para uma forte reorientação das políticas europeias, até agora desastrosamente lideradas por governos ligados ao Partido Popular Europeu.


BUONA FORTUNA ITALIA!!

DISCORSO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI (29-04-2013) http://www.governo.it/Presidente/Interventi/dettaglio.asp?d=70916:


«Signora Presidente
Onorevoli Deputati,
appena una settimana fa il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, pronunciava il suo discorso di insediamento alla Presidenza della Repubblica. A lui consentitemi di rivolgere nuovamente un sincero ringraziamento per lo straordinario spirito di dedizione alla nostra comunità nazionale con il quale ha accettato la rielezione per il secondo mandato.
Voglio inoltre ringraziare i Presidente del Senato, Pietro  Grasso, e della Camera, Laura Boldrini, per la collaborazione offerta nella fase di consultazione in questo primissimo avvio dell’esperienza di governo.
Quella del presidente Napolitano è stata – lo sappiamo – una «scelta eccezionale». Eccezionale perché tale è il momento che l'Italia e l’Europa si trovano a vivere oggi. Di fronte all'emergenza il presidente della Repubblica ci ha invitato a parlare il linguaggio della verità. Ci ha chiesto di offrire in extremis, al Paese e al mondo, una testimonianza di volontà di servizio e senso di responsabilità. Ci ha concesso un'ultima opportunità. L’opportunità di dimostrarci degni del ruolo che la Costituzione ci riconosce come rappresentanti della nazione. Degni di servire il Paese – attraverso l'esempio, il rigore, le competenze – in una delle stagioni più complesse e dolorose della storia unitaria.
Accogliendo il suo appello  intendo rivolgermi a voi proprio con il linguaggio “sovversivo” della verità. Confessandovi che avverto, fortissimi in questo momento la consapevolezza dei miei limiti e il peso della mia personale responsabilità, ma impegnandomi a fare di tutto affinché le mie spalle siano larghe e solide al punto da reggere, nelle vesti di presidente del Consiglio di un Governo che richiede, qui e oggi, la fiducia del Parlamento.
Infine, non potrei iniziare questo discorso, in un passaggio cosi impegnativo, senza un accenno personale ed esprimere un senso di gratitudine profonda verso chi con generosità e senso antico della parola “lealtà” mi sostiene anche in questo difficile passaggio: Pierluigi Bersani.

UN GOVERNO AL SERVIZIO DELL’ITALIA E DELL'EUROPA
La prima verità è che la situazione economica dell’Italia è ancora grave. Abbiamo accumulato in passato un debito pubblico che grava come una macina sulle generazioni presenti e future, e che rischia di schiacciare per sempre le prospettive economiche del Paese. Il grande sforzo di risanamento compiuto dal precedente Governo, guidato dal senatore Mario Monti, è stato premessa della crescita in quanto la disciplina della finanza pubblica era e resta indispensabile per contenere i tassi di interesse e sventare possibili attacchi finanziari. Il mantenimento degli impegni presi con il Documento di Economia e Finanza è necessario ad uscire, quanto prima, dalla procedura di disavanzo eccessivo e per recuperare margini di manovra all’interno dei vincoli europei. Nelle sedi europee e internazionali l’Italia si impegnerà poi per individuare strategie per ravvivare la crescita senza compromettere il processo di risanamento della finanza pubblica.
L' Europa è in crisi di legittimità ed efficacia proprio quando tutti i Paesi membri e tutti i cittadini ne hanno più bisogno. L'Europa può tornare ad essere motore di sviluppo sostenibile – e quindi di speranza e di costruzione di futuro – solo se finalmente si apre. Il destino di tutto il continente è strettamente legato. Non ci possono essere vincitori e vinti se l’Europa fallisce questa prova. Saremmo tutti perdenti: sia nel Sud che nel Nord del continente.
E’ per questo che se otterrò la vostra fiducia, immediatamente visiterò in un unico viaggio Bruxelles, Berlino e Parigi per dare subito il segno che il nostro è un governo europeo ed europeista.
La risposta, dunque, è una maggiore integrazione verso un’Europa Federale. Altrimenti il costo della non-Europa, il peso della mancata integrazione, il rischio di un’unione monetaria senza unione politica e unione bancaria diventeranno insostenibili: come la crisi di questi cinque anni ci ha mostrato. Questo Parlamento ha già dimostrato di poter trovare intese per dare all’Europa un contributo italiano innovativo. Questo è avvenuto nel sostegno all’azione europea del governo Monti e nell’elaborazione di posizioni comuni come quella elaborata dai colleghi Baretta, Brunetta e Occhiuto in vista del Consiglio Europeo del Giugno scorso. Da quelle premesse politiche ripartiremo.
Le premesse macroeconomiche sono quelle dell’Euro e della Banca Centrale Europea guidata da Mario Draghi.

LE RISORSE PER LA CRESCITA: GIOVANI E TERRITORIO
Di solo risanamento l'Italia muore. Dopo più di un decennio senza crescita le politiche per la ripresa non possono più attendere. Semplicemente: non c'è più tempo. Tanti cittadini e troppe famiglie sono in preda alla disperazione e allo scoramento. Pensiamo alla vulnerabilità individuale che nel disagio e nel vuoto di speranze rischia, di tramutarsi in rabbia e in conflitto, come ci ricorda lo sconcertante fatto avvenuto ieri stesso dinanzi a Palazzo Chigi. Ieri andando a visitare in ospedale il Brgadiere Giangrande ferito gravemente insieme al Carabiniere Scelto Negri, sono stato impressionato dalla forza e dalla fermezza della figlia Martina. Il Parlamento deve stringersi a lei in questo momento. E il Parlamento deve stringersi anche all’Arma dei Carabinieri e a tutte le forze dell’ordine per il servizio continuo, silenzioso, encomiabile, spesso in condizioni disagiate, svolto nell’interesse della nazione in Italia e all’este3ro.
Senza crescita e coesione l'Italia è perduta. Il Paese, invece, può farcela. Ma per farcela deve ripartire. E per ripartire tutti devono essere motori di questa nuova energia positiva. L'architrave dell'esecutivo sarà l’impegno a essere seri e credibili sul risanamento e la tenuta dei conti pubblici. Basta coi debiti che troppe volte il nostro Paese ha scaricato sulle spalle e la vita delle generazioni successive. Quelle nuove, di generazioni, hanno imparato sulla propria pelle e non faranno lo stesso con i propri figli.
Ecco perché la riduzione fiscale senza indebitamento sarà un obiettivo continuo e a tutto campo. Anzitutto, quindi, ridurre le tasse sul lavoro, in particolare su quello stabile e quello per i giovani neo assunti. Poi una politica fiscale della casa che limiti gli effetti recessivi in un settore strategico come quello dell’edilizia, con includere incentivi per ristrutturazioni ecologiche e affitti e mutui agevolati per giovani coppie. E poi bisogna superare l'attuale sistema di tassazione della prima casa: intanto con lo stop ai pagamenti di giugno per dare il tempo a Governo e Parlamento di elaborare insieme e applicare rapidamente una riforma complessiva che dia ossigeno alle famiglie, soprattutto quelle meno abbienti.
Misure ulteriori dovrebbero essere il pagamento di parte dei debiti delle Amministrazioni pubbliche; l’allentamento del Patto di stabilità interno; la rinuncia all’inasprimento dell’IVA; l’aumento delle dotazioni del Fondo Centrale di Garanzie per le piccole e medie imprese e del Fondo di Solidarietà per i mutui. Ma questi provvedimenti - sebbene necessari nel breve termine - non sono sufficienti.
La crescita economica di un paese richiede una strategia complessa, che eviti dispersione a pioggia delle poche risorse e che possa innescare meccanismi virtuosi. Per questo è necessario una sintonia tra le azioni del Governo e quelle delle banche e delle imprese, che debbono essere mirate ad una crescita di lungo periodo degli attori economici per superare gli annosi ritardi dell’Italia in termini di crescita della produttività e della competitività. Il Governo deve accompagnare questa crescita e rimanere a fianco delle imprese anche e soprattutto quando queste si impegnano all’estero nell’arena globale.
Un importante argomento di contesto concerne la giustizia, in quanto solo con la certezza del diritto gli investimenti possono prosperare. Questo riguarda la moralizzazione della vita pubblica e la lotta alla corruzione, che distorce regole e incentivi. Questo riguarda anche la giustizia nel suo complesso. La giustizia deve essere giustizia innanzitutto per i cittadini. La ripresa ritornerà anche se i cittadini e gli imprenditori italiani e stranieri  saranno convinti di potersi rimettere con fiducia ai tempi e al merito delle decisioni della giustizia italiana. E tutto questo funzionerà se la smetteremo di avere una situazione carceraria intollerabile ed eccessi di condanne da parte della Corte dei diritti dell'uomo. Ricordiamoci sempre che siamo il paese di Cesare Beccaria!
Dobbiamo liberare le energie migliori del Paese. Non partiamo da zero, ma da due grandi risorse. Prima di tutto, i giovani. “Scommettete su cose grandi” ha detto proprio ieri Papa Francesco rivolto a loro. E noi abbiamo gli strumenti per aiutarli. Quello generazionale non è certo solo un tema attinente al rinnovamento della classe dirigente, come troppo spesso emerge nel dibattito pubblico. È una questione drammatica che scontano sulla propria pelle milioni di giovani. Segnala bassi tassi di istruzione e di occupazione, porta con sé lo sconforto, e anche la rabbia, di chi non studia né lavora. Chiediamoci quanti bambini non nascono ogni anno, in Italia, per la precarietà che limita le scelte delle famiglie giovani. Non è solo demografia, è una ferita morale. Perché non devono esistere generazioni perdute, perché solo i giovani possono ricostruire questo Paese: le loro nuove esperienze e competenze ci raccontano un mondo che cambia, il loro mondo. Rinunciare ad investire su di loro è un suicidio economico. Ed è la certezza di decrescita, la più infelice.
Semplificheremo e rafforzeremo l’apprendistato, che ha dato buoni risultati in paesi vicini. Un aiuto può venire da modifiche alla legge 92/2012, quali suggerite dalla Commissione dei saggi istituita dal presidente della Repubblica, che riducano le restrizioni al contratto a termine, finché dura l’emergenza economica. Aiuteremo le imprese ad assumere giovani a tempo indeterminato, con defiscalizzazioni o con sostegni ai lavoratori con bassi salari, condizionati all’occupazione, in una politica generale di riduzione del costo del lavoro e del peso fiscale. Non bastano incentivi monetari. Occorre prendersi cura dei giovani, volgendo il disagio in speranza, puntando su orientamento e stimolo all’imprenditorialità. E occorre percorrere la strada europea tracciata dal programma Youth guarantee, per garantire effettivi sbocchi occupazionali.
Bisogna fare tesoro della voglia di fare dei nuovi italiani, così come bisogna valorizzare gli italiani all’estero. La nomina di Cecile Kyenge significa una nuova concezione di confine, da barriera a speranza, da limite invalicabile a ponte tra comunità diverse.
La società della conoscenza e dell'integrazione si costruisce sui banchi di scuola e nelle università. Dobbiamo ridare entusiasmo e mezzi idonei agli educatori che in tante classi volgono il disagio in speranza e dobbiamo ridurre il ritardo rispetto all’Europa nelle percentuali di laureati e nella dispersione scolastica. In Italia c’è una nuova questione sociale, segnata dall’aumento delle disuguaglianze. Solo il 10% dei giovani italiani con il padre non diplomato riesce a laurearsi, mentre sono il 40% in Gran Bretagna, il 35% in Francia, il 33% in Spagna. Bisogna finalmente dare piena attuazione all’art. 34 della Costituzione, per il quale «i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno il diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi». L'uguaglianza più piena e destinata a durare nelle generazioni è oggi più che mai l'uguaglianza delle opportunità.
Per rilanciare il futuro industriale del Paese, bisogna scommettere sullo spirito imprenditoriale e innovare e investire in ricerca e sviluppo. Per questo intendiamo lanciare un grande piano pluriennale per l’innovazione e la ricerca, finanziato tramite project bonds. La ricerca italiana può e deve rinascere nei nuovi settori di sviluppo, come ad esempio l’agenda digitale, lo sviluppo verde, le nanotecnologie, l’aerospaziale, il biomedicale. Si tratta di fare una politica industriale moderna, che valorizzi i grandi attori ma anche e soprattutto le piccole e medie imprese che sono e rimarranno il vero motore dello sviluppo italiano. Oltre all'alta tecnologia bisogna investire su ambiente ed energia. Le nuove tecnologie - fonti rinnovabili ed efficienza energetica - vanno maggiormente integrate nel contesto esistente, migliorando la selettività degli strumenti esistenti di incentivazione, in un'ottica organica con visione di medio e lungo periodo. Sempre con riguardo ai settori energetici, va completato il processo di integrazione con i mercati geografici dei Paesi europei confinanti. Questo implica, per l'energia elettrica, il completamento del cosiddetto market coupling e, per il gas, il completo riallineamento dei nostri prezzi con quelli europei e la trasformazione del nostro Paese in un hub.E’ chiaro che episodi come quello dell’ILVA di Taranto non sono più tollerabili.
Tutta l’impresa italiana, per crescere, ha bisogno di più semplicità, di un’alleanza tra la pubblica amministrazione e la società, senza tollerare le sacche di privilegio. La burocrazia non deve opprimere la voglia creativa degli italiani ed è per questo che bisognerà rivedere l’intero sistema delle autorizzazioni. Bisogna snellire le procedure e avere fiducia in chi ha voglia di investire, creare, offrire posti di lavoro.
Non si possono più chiedere sacrifici sempre e soltanto ai «soliti noti». I sacrifici sono socialmente sostenibili solo se sono ispirati ad un principio di equità. Questo significa coniugare una ferrea lotta all’evasione con un fisco amico dei cittadini, senza che la parola Equitalia debba provocare dei brividi quando viene evocata.
L’altra grande risorsa è l’Italia stessa. Bellezza senza navigatore. La nostra tendenza all’autocommiserazione è pari solo all’ammirazione che l’Italia suscita all’estero. Molti stranieri vogliono bagnarsi nei nostri mari, visitare le nostre città, mangiare e vestire italiano. L’Italia e il made in Italy sono le nostre migliori ricchezze. E’ per questo che uno dei primi atti del Governo sarà quello di nominare il Commissario unico per l’Expo, una grande occasione che non dobbiamo mancare. A questo fine nei prossimi giorni sarò a Milano a presentare il decreto per partire per  l’ultimo miglio di questo evento strategico.
Per questo dobbiamo rilanciare il turismo e, soprattutto, attrarre investimenti. Rimuoviamo quegli ostacoli che fanno sì che l’Italia per molti non sia una scelta di vita. Questo significa puntare sulla cultura, motore e moltiplicatore dello sviluppo, o sulle straordinarie realtà dell'agro-alimentare. Questo significa valorizzare e custodire l'ambiente, il paesaggio, l'arte, l'architettura, le eccellenze enogastronomiche, le infrastrutture stradali, ferroviarie, portuali e aeroportuali.
Questo vuol dire anche valorizzare il nostro grande patrimonio sportivo. La pratica dello sport significa prevenzione dalle malattie, lotta contro l’obesità, formazione a stili di vita sani, lealtà e rispetto delle regole. Dobbiamo impegnarci per diffondere la pratica sportiva sin dalle scuole elementari con un piano di edilizia scolastica su tutto il territorio nazionale.
L’intraprendenza dei giovani e la bellezza dei territori sono d'altra parte due risorse cruciali per il Mezzogiorno. In entrambi i casi un patrimonio dissipato, un giacimento inutilizzato di potenzialità. Dobbiamo mettere in condizione il Sud di crescere da solo, annullando i divari infrastrutturali e di ordine pubblico che l’hanno frenato, puntando sulle nuove imprese, in particolare le industrie culturali e creative, e sulla buona gestione dei fondi europei, come quella che ha caratterizzato l'operato del governo Monti.
Dobbiamo, soprattutto, evitare di continuare a mettere la testa sotto la sabbia come struzzi e riconoscere che il divario tra Nord e Sud del Paese è non un accidente storico o una condanna, ma il prodotto di decenni di inadempienze da parte delle classi dirigenti, a livello nazionale come a livello locale. E' il risultato dell'azione della criminalità organizzata che, certo presente anche nel resto del Paese – in larghe parti del Mezzogiorno ha i connotati del controllo arrogante e quasi militare del territorio. E questo nonostante lo spirito di servizio e il sacrificio di tanti servitori dello Stato – magistrati ed esponenti delle forze dell'ordine anzitutto – che troppo spesso abbiamo avuto la responsabilità di lasciare soli. Anche per questo dobbiamo dare effettiva concretezza al valore della specificità della professione svolta dal personale in divisa delle Forze Armate e della Polizia. 

PRIORITA' LAVORO
Ma permettetemi di soffermarmi un attimo sulla grande tragedia di questi tempi che d'altronde al Sud tocca punte di desolazione e allarme sociale: la questione del lavoro. È e sarà la prima priorità del mio governo. Solo col lavoro si può uscire da quest'incubo di impoverimento e imboccare la via di una crescita non fine a se stessa, ma volta a superare le ingiustizie e riportare dignità e benessere. Senza crescita, anche gli interventi di urgenza su cui ci siamo impegnati e che qui ribadisco – rifinanziamento delle casse integrazioni in deroga, superamento del precariato anche nella pubblica amministrazione - sarebbero insufficienti. In particolare, con i lavoratori esodati la comunità nazionale ha rotto un patto, e la soluzione strutturale di questo tema è un impegno prioritario di questo Governo.
Mai come oggi occorre fiducia reciproca: imprese e lavoratori devono agire insieme e superare le contrapposizioni che in passato ci hanno frenato. Sono sicuro che come in tanti momenti critici della vita della Repubblica i sindacati saranno protagonisti. Il governo vuole aprire la strada con proposte che approfondiremo insieme: ampliare gli incentivi fiscali a chi investe in innovazione, sostenere l’aggregazione e internazionalizzazione delle PMI, dare più credito a chi lo merita, garantire il pagamento dei debiti alle imprese, semplificare e rimuovere gli ostacoli burocratici che frenano lo spirito d’impresa.
Dobbiamo anche valorizzare il lavoro autonomo e le libere professioni, che in una società postindustriale rappresentano la spina dorsale della nostra economia. Le misure di liberalizzazione orami sono state adottate. Ora bisogna lavorare tutti insieme per formare e dare opportunità ai giovani, innalzare la qualità, servire al meglio i clienti.
Anche sull’occupazione femminile occorre fare molto di più. La maggiore presenza delle donne nella vita economica, sociale e politica dà già straordinari contributi alla crescita del paese, ma siamo lontani dagli obiettivi europei. Non siamo ancora un paese delle pari opportunità. La carenza di servizi scarica sulle donne compiti insostenibili, aggravati in alcuni casi da una crescita insopportabile delle violenze contro le donne.
La riforma del nostro welfare richiede azioni di ampio respiro per rilanciare il modello sociale europeo. Il welfare tradizionale, schiacciato sul maschio adulto e su pensioni e sanità, non funziona più. Non stimola la crescita della persona e non basta a correggere le disuguaglianze. Non occorrono isterismi. Occorre un cambiamento radicale: un welfare più universalistico e meno corporativo, che sostenga tutti i bisognosi, aiutandoli a  rialzarsi e a riattivarsi. Per un welfare attivo, più giovane e al femminile, andranno migliorati gli ammortizzatori sociali, estendendoli a chi ne è privo, a partire dai precari; e si potranno studiare forme di reddito minimo, soprattutto per famiglie bisognose con figli.
Hanno trovato largo consenso parlamentare nei mesi passati le proposte su incentivi al pensionamento graduale con part time misto a pensione, con una «staffetta generazionale» per la parallela assunzione di giovani. Inoltre, per evitare il formarsi di bacini estesi di lavoratori anziani di difficile ricollocazione, studieremo forme circoscritte di gradualizzazione del pensionamento, come l’accesso con 3-4 anni di anticipo al pensionamento con una penalizzazione proporzionale.
Dobbiamo poi ricordarci che l’Italia migliore è un’Italia solidale. E’ per questo che il governo non può che valorizzare la rete di protezione dei cittadini e dei loro diritti, con misure tese al miglioramento dei servizi, da quelli sanitari a quelli del trasporto pubblico, locale e pendolare, con una particolare attenzione per i disabili e i non autosufficienti.
Vorrei a questo proposito rendere omaggio alle donne e agli uomini che ogni giorno consentono al nostro paese di godere di questa solidarietà e che mantengono unito il nostro tessuto sociale: i servitori dello Stato - quelli che rischiano la vita per proteggere le istituzioni, quelli che lavorano nella sanità per salvare delle vite, quelli che aiutano i nostri figli a crescere - ma anche gli operatori del volontariato, della cooperazione, del terzo settore e della galassia del 5 per 1000. E’ l'esempio che giornalmente viene dato da queste persone che ci fa riscoprire il valore del servizio pubblico.
Una speciale menzione merita la protezione civile, che ha dato una straordinaria prova nei terremoti in Abbruzzo e in Emilia e che ci ricorda che abbiamo un impegno alla prevenzione, con un piano di manutenzione contro il dissesto idrogeologico e la lotta all’abusivismo.

LA RIFORMA DELLA POLITICA
Vorrei che questo governo inaugurasse una fase nuova nella vita della Repubblica. Non il canto del cigno di un sistema imploso sulle sue troppe degenerazioni, ma un primo impegno per la ricostruzione della politica e del nostro modo di percepirci come comunità.
La ricostruzione però può partire solo da un esercizio autentico, non simulato, di autocritica. La verità è che la politica ha commesso troppi errori. Si è erosa, giorno dopo giorno, la credibilità della politica e delle istituzioni, vittime di un presentismo - vale a dire dell'ossessione del consenso immediato - che bloccato  il Paese.

Ancora: non abbiamo compreso quanto le legittime istanze di innovazione, partecipazione, trasparenza, sottese alla rivoluzione del web, potessero tradursi in un oggettivo miglioramento della qualità della nostra democrazia rappresentativa anziché sfociare nel mito o nell'illusione della democrazia diretta.
Oggi abbiamo dinanzi un'altra sfida, ancora più complessa: quella dell’autorevolezza. L’autorevolezza del potere che non ha più, come in passato, il monopolio delle informazioni, ma deve avere il profilo e le competenze per discernere il vero dal falso nel flusso enorme di informazioni presenti nella Rete. L'autorevolezza di chi non si accontenta della verosimiglianza e del sentito dire, ma sceglie sempre e solo la verità e ha il coraggio e la pazienza di raccontarla ai cittadini, anche se dolorosa o brutale.
Per cominciare, bisogna recuperare decenza, sobrietà, scrupolo, senso dell’onore e del servizio e, infine, la banalità della gestione di un buon padre di famiglia. Ognuno deve fare la sua parte. A questo fine, per dare l’esempio, il primo atto del Governo sarà quello di eliminare con una norma d’urgenza lo stipendio dei ministri parlamentari che esiste da sempre in aggiunta alla loro indennità.
Nessuno, ripeto nessuno, può sentirsi esentato dal dovere dell'autorevolezza. Nessuno può considerarsi fino in fondo assolto dall'accusa di aver contaminato il confronto pubblico con gesti, parole, opere o omissioni.Con 11 milioni e mezzo di cittadini che hanno deciso di non votare, alle elezioni dello scorso febbraio, quello dell’astensione è risultato essere il primo partito. Non era mai accaduto prima: due milioni in più rispetto al 2008, quattro rispetto al 2006. Su questo sfondo la riduzione dei costi della politica diventa un dovere di credibilità. Pensate ai rimborsi elettorali: tutte le leggi introdotte dal 1994 ad oggi sono state ipocrite e fallimentari. Non rimborsi ma finanziamento mascherato. Per di più di ammontare decisamente troppo elevato, come la Corte dei Conti ha recentemente confermato: 2 miliardi e mezzo di euro dal 1994 al 2012, a fronte di spese certificate di circa mezzo miliardo.E', questa , solo una delle conferme del fatto che il sistema va rivoluzionato. Partiamo dunque dal finanziamento pubblico ai partiti, abolendo la legge troppo timida approvata l’anno scorso e introducendo misure di controllo e di sanzione anche sui gruppi parlamentari e regionali. Occorre poi avviare percorsi che finalmente consegnino alla libera scelta dei cittadini, con opportuni interventi sul versante fiscale, la contribuzione all’attività politica dei partiti.
E’ però anche importante collegare il tema del finanziamento a quello della democrazia interna ai partiti, attuando finalmente i principi sulla democrazia interna incorporati nell’art. 49 della Costituzione, stimolando la partecipazione dei militanti e garantendo la trasparenza delle decisioni e delle procedure.Rivendico con forza l’importanza di un temporaneo «governo di servizio al paese» tra forze sicuramente lontane e diverse tra loro. Credo che non sia facile votare insieme da posizioni così eterogenee, ma proprio per questo credo che questa sia una scelta che meriti rispetto anche da chi non la condivide perché non è motivata dall’interesse particolare ma da principi più alti di coesione nazionale. Questo è il senso del messaggio del Presidente della Repubblica alle Camere. Non dobbiamo avere paura di fare il nostro dovere per l’Italia. Noi dobbiamo dare il nostro contributo a ricostruire un patto di fiducia, a ritrovare il senso di una missione comune. Come italiani, si vince o si perde tutti insieme.
Sicuramente è e deve essere un’eccezione la convergenza di forze politiche che si sono presentate come alternative alle elezioni. Ma è eccezionale che dalle urne, anche a causa della legge elettorale, non sia uscita alcuna maggioranza; è eccezionale l’emergenza economica che il governo dovrà affrontare; è eccezionale il fatto che sia necessario riscrivere alcune regole costituzionali. Credo quindi che le forze politiche che sostengono il governo stiano dimostrando un grande senso di responsabilità e di attaccamento alle istituzioni. Vent’anni di attacchi e delegittimazioni reciproche hanno eroso ogni capitale di fiducia nei rapporti tra i partiti e l’opinione pubblica, che è esausta, sempre più esausta, delle risse inconcludenti.Ho imparato da Nino Andreatta la fondamentale distinzione tra politica, intesa come dialettica tra diverse fazioni, e politiche, intese come soluzioni concrete ai problemi comuni. Se in questo momento ci concentriamo sulla politica, le nostre differenze ci immobilizzeranno. Se invece ci concentriamo sulle politiche, allora potremo svolgere un servizio al paese migliorando la vita dei cittadini.
E‘ per questo che intendo appellarmi alla responsabilità dei partiti e dei movimenti perché ritengo centrale il ruolo del Parlamento, con una continua interlocuzione con le forze politiche che non sostengono il Governo e con la creazione di luoghi permanenti di codecisione, ai quali parteciperò personalmente, tra il governo e le forze politiche che lo sostengono.
LA RIFORMA DELLE ISTITUZIONI
L’appello alla responsabilità e alla capacità di trovare terreni di convergenza è ancora più pressante nel nostro compito di riformare le istituzioni, anche perché auspico che per la scrittura delle regole che riguardano la vita democratica di tutti il fronte si allarghi anche alle forze che non hanno intenzione di sostenere il governo in modo organico, che devono partecipare pienamente al processo costituente.Vedo oggi una via stretta, ma possibile, per una riforma anche radicale del sistema istituzionale e del sistema politico.Un imperativo deve essere chiaro a tutti noi fin dal primo momento: in questa materia negli ultimi decenni abbiamo assistito troppe volte all’avvio di percorsi riformatori che si presentavano come risolutori, che nelle intenzioni anche sincere di chi li proponeva, promettevano di regalarci istituzioni più efficienti e capaci di decidere, oltre che maggiormente vicine ai cittadini, e che invece si sono infranti contro veti reciproci, chiusure partigiane, prese di posizione strumentali e contrapposizioni dannose nonostante i reiterati richiami del Presidente della Repubblica.
Al fine di sottrarre la discussione sulla riforma della Carta fondamentale alle fisiologiche contrapposizioni del dibattito contingente, sarebbe bene che il Parlamento adottasse le sue decisioni sulla base delle proposte formulate da una Convenzione, aperta alla partecipazione anche di autorevoli esperti non parlamentari e che parta dai risultati della attività parlamentare della scorsa legislatura e dalle conclusioni del Comitato di saggi istituito dal Presidente della Repubblica. La Convenzione deve poter avviare subito i propri lavori sulla base degli atti di indirizzo del Parlamento, in attesa che le procedure per un provvedimento Costituzionale possano compiersi.
Dal momento che questa volta l’unico sbocco possibile per questo tema è il successo nell’approvazione delle riforme che il paese aspetta da troppo tempo, fra 18 mesi verificherò se il progetto sarà avviato verso un porto sicuro. Se avrò una ragionevole certezza che il processo di revisione della Costituzione potrà avere successo, allora il nostro lavoro potrà continuare. In caso contrario, se veti e incertezze dovessero minacciare di impantanare tutto per l’ennesima volta, non avrei esitazioni a trarne immediatamente le conseguenze.
La moralità della politica è quella di prendere le decisioni che i cittadini si attendono, e di rispettare gli impegni presi di fronte al paese e alle istituzioni.
L’obiettivo complessivo è quello di una riforma che riavvicini i cittadini alle istituzioni, rafforzando l’investitura popolare dell’esecutivo e migliorando efficienza ed efficacia del processo legislativo. I principi che devono guidarci sono quelli di una democrazia governante: la capacità degli elettori di scegliersi i propri rappresentanti e di decidere alle elezioni sui governi e le maggioranze che li sostengono.
Dobbiamo superare il bicameralismo paritario, per snellire il processo decisionale ed evitare ingorghi istituzionali come quello che abbiamo appena sperimentato, affidando ad una sola Camera il compito di conferire o revocare la fiducia al Governo. Nessuna legge elettorale è infatti in grado di garantire il formarsi di una maggioranza identica in due diversi rami del Parlamento.Dobbiamo quindi istituire una seconda Camera - il Senato delle Regioni e delle Autonomie - con competenze differenziate e con l’obiettivo di realizzare compiutamente l’integrazione dello Stato centrale con le autonomie, anche sulla base di una più chiara ripartizione delle competenze tra i livelli di governo con il perfezionamento della riforma del Titolo V. Bisogna riordinare i livelli amministrativi e abolire le provincie. Semplificazione e sussidiarietà devono guidarci al fine di promuovere l’efficienza di tutti i livelli amministrativi e di ridurre i costi di funzionamento dello Stato. Questo non significa perseguire una politica di tagli indifferenziati, ma al contrario valorizzare comuni e regioni per rafforzare le loro responsabilità, in un’ottica di alleanza tra il governo e i territori e le autonomie, ordinarie e speciali. Bisogna altresì chiudere rapidamente la partita del Federalismo fiscale, rivedendo il rapporto fiscale tra centro e periferia salvaguardando la centralità dei territori e delle Regioni. Si può anche esplorare il suggerimento del Comitato di Saggi istituito dal Presidente della Repubblica per la eventuale riorganizzazione delle Regioni e dei rapporti tra loro.
Occorre poi riformare la forma di governo, e su questo punto bisogna anche prendere in considerazione scelte coraggiose, rifiutando piccole misure cosmetiche e respingendo i pregiudizi del passato.
La legge elettorale è naturalmente legata alla forma di governo, ma si possono sin da ora delineare gli obiettivi fondamentali. Innanzitutto, dobbiamo qui solennemente assumere l’impegno che quella dello scorso febbraio sia l’ultima consultazione elettorale che si svolge sulla base della legge elettorale vigente. Cambiarla serve non solamente per assicurare la formazione di maggioranze sufficientemente ampie e coese, in grado di garantire governi stabili; ma prima ancora per restituire legittimità al Parlamento ed ai singoli parlamentari. Non possiamo più accettare l’idea di parlamentari di fatto imposti con la stessa presentazione delle candidature, senza che i cittadini abbiano la possibilità di individuare il candidato più meritevole.
Sono certo che le forze politiche siano in grado di trovare delle ottime soluzioni. Permettetemi di esprimere a livello personale che certamente migliore della legge attuale sarebbe almeno il ripristino della legge elettorale precedente.
LA NUOVA EUROPA
Rappresentare l'intera nazione oggi significa prima di tutto sapere e ribadire che le sorti dell'Italia sono intimamente correlate a quelle dell'Unione europea. Due destini che si uniscono.
Nel 2012 tutti noi abbiamo vinto il premio Nobel anche se forse non ce ne siamo pienamente accorti. L’Unione Europea è stata premiata per un’alchimia politica senza precedenti: la trasformazione delle macerie di un continente di guerra in uno spazio di pace. Allora i nemici decisero di vivere insieme. Dopo insieme abbiamo promosso la democrazia e riunificato il continente dalle ferite della cortina di ferro. Insieme abbiamo dato vita al mercato unico. Insieme abbiamo concepito la cooperazione allo sviluppo, di cui siamo leader al mondo. Insieme ai ragazzi partiti nel 1987 per il primo Erasmus, abbiamo scoperto di avere nuove case e nuove famiglie. E insieme, nella crisi, dobbiamo ripartire da alcune verità, perché della verità non bisogna mai avere paura.    
Primo: il Nobel non è alla memoria. L’Europa non è il passato, è il viaggio nel quale ci siamo imbarcati per arrivare nel futuro. L’Europa è lo spazio politico con cui rilanciare la speranza che ha animato la nostra società nella ricostruzione del dopoguerra. È lo spazio politico con cui mettere fine a questa guerra di stereotipi, di sfiducia e di timidezza, mentre la tragedia della disoccupazione giovanile mette un’intera generazione in trincea. L’Europa esiste solo al presente e al futuro, solo se alla storia scritta dai nonni e dai padri si affiancano le azioni dei figli e dei nipoti.
Secondo: l’Europa è il nostro viaggio. La sua storia non è scritta malgrado noi. È scritta da noi. L’orizzonte è europeo, con le università che devono diplomare laureati in grado di lavorare ovunque in Europa, e le imprese che devono inventare prodotti che siano competitivi a livello continentale se non globale. Pensare l’Italia senza l’Europa è la vera limitazione della nostra sovranità, perché porta alla svalutazione più pericolosa, quella di noi stessi. Vivere in questo secolo vuol dire non separare le domande italiane e le risposte europee, nella lotta alla disoccupazione e alla disuguaglianza, nella difesa e nella promozione di tutti i diritti. E soprattutto, l’abbattimento dei muri tra il Nord e il Sud del continente, così come tra il Nord e il Sud dell’Italia.
Terzo: il porto a cui il nostro viaggio è rivolto sono gli Stati Uniti d’Europa e la nostra nave si chiama democrazia. Guardiamo con ammirazione lo sviluppo delle altre nazioni, in particolare in Asia e in Africa, ma non vogliamo sognare i sogni degli altri. Abbiamo il diritto a sogno che si chiama Unione Politica e abbiamo il dovere di renderlo più chiaro. Possiamo avere «più Europa» soltanto con «più democrazia»: con partiti europei, con l’elezione diretta del Presidente della Commissione, con un bilancio coraggioso e concreto come devono essere i sogni che vogliono diventare realtà.
L’Italia vive in un mondo sempre più grande, caratterizzato dall’arrivo sulla scena di nuove potenze emergenti che stanno modificando gli equilibri mondiali. Di fronte a giganti come Cina, India e Brasile, i singoli Stati europei non possono che sviluppare una politica comune per raggiungere la massa critica necessaria ad interagire con questi nuovi attori e influire sui processi globali.
Questo significa un rinnovato impegno per una politica estera e di difesa comuni, tese a rinnovare l’impegno per il consolidamento dell’ordine internazionale, un impegno che vede le nostre Forze Armate in prima linea, con una professionalità e un’abnegazione seconda a nessuno. Lavoreremo per trovare una soluzione equa e rapida alla dolorosa vicenda dei due Fucilieri di Marina trattenuti in India, che ne consenta il legittimo rientro in Italia nel più breve tempo possibile.
L’Italia è saldamente collocata nel campo occidentale, ma la sua posizione geopolitica proiettata verso altre civiltà, la sua cultura abituata al dialogo e la sua economia vocata all’esportazione possono consegnarle un ruolo di ponte tra l’Occidente e le nuove potenze emergenti.
Questo è importante soprattutto nel Mediterraneo, dove il consolidamento delle primavere arabe, la risoluzione politica della crisi in Siria e la prosecuzione del processo di pace in Medio Oriente sono le questioni più urgenti.

CONCLUSIONE
In questi giorni ho pensato al personaggio biblico di Davide.
Come lui, con lui, siamo nella valle di Elah, in attesa di affrontare Golia.
Nella valle delle nostre paure di fronte a sfide che appaiono gigantesche. Anche la sfida di metterci insieme per affrontarle. Come Davide in quella valle, dobbiamo spogliarci della spada e dell’armatura che in questi anni abbiamo indossato e che ora ci appesantirebbero.
Davide “prese in mano il suo bastone, si scelse cinque ciottoli lisci dal torrente e li pose nella sua sacca da pastore, nella bisaccia; prese in mano la fionda e si avvicinò a Golia”. Noi, dal “torrente” delle idee sulle quali ci siamo confrontati abbiamo scelto i nostri “ciottoli”, le nostre proposte di programma. La “fionda” l’abbiamo in mano insieme, governo e Parlamento. Ma di Davide ci servono il coraggio e la fiducia. Il coraggio di mettere da parte quella “prudenza politica” che spinge a evitare il confronto con le nostre paure, a rimanere nella valle e, se proprio decidiamo di muoverci, a farlo con indosso l’armatura. Il coraggio di affrontare la sfida liberandoci dell’armatura, forse  lo abbiamo trovato. La fiducia è quella che chiediamo al Parlamento e agli italiani.»


segunda-feira, 29 de abril de 2013

ECONOMIA II - OECONOMIA II - ECONOMY II

ECONOMIA

Já tivemos o autocrata Cunhal
Agora temos outro Álvaro público em Portugal
Que lhe faz também muito mal
Cúmplice da omissão da Economia fundamental

Em entrevista confunde a Produção
Com o seu Valor Acrescentado
Que sob a esmagadora tributação
Líquida de subsídios fica a preços de mercado

É precisamente esse Valor criado
Que o Governo muito tem prejudicado
Que há muito devia ter sido fortemente apoiado
Nomeadamente por uma profunda Reformado do Estado

domingo, 28 de abril de 2013

UNIÃO LATINA - UNIO LATINA - LATIN UNION

http://www.unilat.org/Library/Handlers/File.ashx?id=891995b3-594d-4532-9b84-877419955afa

UNIO LATINA (MCMLIV http://www.unilat.org/) - SYMBOLUM
http://www.unilat.org/Library/Images/Drapeaux/drapeaux.png

Fasciculus:LatinUnion.png
«Latin Union» languages (Map created by Wikipedia - Dark512) and members of the cultural organization:

Bolivia, Chile, Colombia, Costa Rica, Cuba, Ecuador, España, Filipinas, Guatemala, Honduras, Mexico, Nicaragua, Panama, Paraguai, Peru, Républica Dominicana, Uruguai, Venezuela
Angola, Brasil, Cabo Verde, Guiné Bissau, Moçambique, Portugal, São Tomé e Príncipe, Timor-Leste
Côte d´Ivoire, France, Haiti, Monaco, Senegal
Italia, San Marino
  Romanian (Română)
Romania, Moldova
Andorra


 Latin influence in English Language (http://en.wikipedia.org/wiki/Latin_influence_in_English, chart created by Oak for Wikipedia) 



Silver coin of Latin Monetary Union









The Latin Monetary Union (MDCCCLXVI-MCMXXVII) founded by Italy, France, Belgium and Switzerland and later with adhesion of Spain, Romania, Brazil, Greece and other countries (latins or not).


sábado, 27 de abril de 2013

BRASIL II - BRASILIA II - BRAZIL II

«Morro de Santo António, Rio de Janeiro» Nicolas-Antoine Taunay (1816)

A música do Brasil é apaixonante
Que divina harmonia resultante
De culturas Luso-Latinas
Europeias, Africanas, Americanas

Tão bonita a música «Dindi(m)»
Do Rio do eterno António Carlos Jobim
A Sylvia Telles dedicada
Com uma versão de Flora Purim
Também por Mônica Vasconcelos cantada
Por «nó(i)s» a mais amada

«Dindi» por Maria Booker interpretada
É tão bonita, tão linda, tão sonhada
A vocalista extravasa a sua emoção
Com a profunda beleza da canção


http://www.youtube.com/watch?v=hSGR43YN_60

Nois 4 - As Meninas «Bom Dia» (2000)
Mônica Vasconcelos (vocals, triangle); 
Ife Tolentino (guitar, background vocals); 
Ingrid Laubrock (melodica, saxophone, background vocals);
Chris Wells (background vocals, percussion)


http://www.youtube.com/watch?v=1fG6bLTQfO4

Wayne Shorter - «Super Nova» (1969)
Wayne Shorter - Soprano Saxophone
Maria Booker - Vocals


«DINDI» (António Carlos Jobim - música, Aloysio de Oliveira - letra)

«Céu, tão grande é o céu,
E bandos de nuvens que passam ligeiras,
Prá onde elas vão?
Ai! eu não sei, não sei.


E o vento que fala nas folhas
Contando as histórias
Que são de ninguém,
Mas que são minhas
E de você também...




Ai! Dindi
Se soubesses do bem que eu te quero
O mundo seria, Dindi,
Tudo, Dindi,
Lindo Dindi.




Ai! Dindi,
Se um dia você for embora me leva contigo, Dindi,
Fica, Dindi,
Olha Dindi.




As águas desse rio 
Onde vão eu não sei ...
A minha vida inteira esperei, esperei
Por você, Dindi,
Que é a coisa mais linda que existe,
Você não existe, Dindi,
Olha, Dindi
Adivinha, Dindi,
Deixa Dindi
Que te adore Dindi» 


sexta-feira, 26 de abril de 2013

UNIÃO EUROPEIA II - UNIO EUROPAEA II - EUROPEAN UNION II








New culture, new policies, European Union need a great and deep reform to harmonize economic and financial points of view: improving developement with(out) public expenses that (don´t) create value, creation (elimination) of virtuous (vicious) circles and games of positive (negative or null) sum, synergies (entropies), real competitive markets (markets with dominant positions by oligopolies, cartels, ...). Stop with «stop and go» economic policies! Stop with a monetary and cambial policies only by a deutch mark, bundesbank point of view. All countries lost soberanies, German have now too much power, have a dominant position that need more balance. If not integration will be much more complicated. All need really understand the different points of view and interests and create a general interest good for all European countries. Why we needed put in China so much industry and create a lot of unemployment? We need a new strategic vision for Europe!
The «piiigs» vision was incredible, have shame of that. A lot of money circulate by all European countries with a big materialism that artificially empolate demand without real social and individual necessities. The crisis put all of that in cause, but the consequences for financing more vulnerable countries are much more complicated. Europe needs big reforms but not this kind of blind austerity that create much more problems, don´t solve problems.



The President of European Commission touch the question about two poles (North and South) with the same negative signal that create repulsive forces and not complementary forces with positive and negative signals. Some North claim that South don´t work well and South claim that North devaluate it work. Reality is much more complexe than that simplification, but the more complicated question is the different historical specialiazations of countries are deep afected by a strong money and a blind liberalisation to China imports, without respect to social quality and human questions. The scandal of food components are produced in China without quality and European consumer are not defended for that because don´t know when purchase something that a component are made in China is intolerable and means less employments in Europe without any wining for Europe excep some profits for some players lower than the social negativities!  

About Portugal only a blind mind don´t understand that thhe problem of the country was and is the leadership, the policies along a lot of centuries that devaluate the work of Portuguese persons! More hours of work means less added value because leaders and dominant groups lived in the more easy ways and games of negative sum: for example the dictator Salazar has afraid of industry and blocked economic development in a lot and crucial years of XX century. European Union help Portugal, but don´t forget the sadness of policies that blocked the development of for example, agriculture or fishing activities, without a qualitative point of view: Portugal imported bas products for destroyed good products.
Incredible the irrresponsability of european leaders that talk about vacancies without any relationship with realiy or other demagogic spechees. About chanceler Merkel we can see in eurostat statistics that Portugal have one of the lowers job vacations rate, «number of job vacancies / (number of occupied posts + number of job vacancies) * 100»,  (0,4 in 2012) and Germany the highter (2,6 in 2012)! So ironic ... Portuguese are very good workers, with a great value!

Remember now the words of the president (http://ec.europa.eu/ireland/press_office/news_of_the_day/barroso-brussels-think-tank-22-april-2013_en.htm):

«23/04/2013 11:37:15
European Commission President Barroso addressed the Brussels Think Tank Forum 'State of the Union 2013 – Federalism or Fragmentation: Spelling out Europe's F-Word' on 22 April.
See below for Memo on what President Barroso actually said on austerity and growth at the Forum.»


    «Matina Stevis (moderator): The role of the institutions of the Commission within the context of this crisis can surely not just be to provide intellectual leadership or aspiration. Surely it must be to be relevant to the citizens in Athens and Lisbon or in Nicosia and to be strong. I've heard you and others describe the Commission as the guardian of the Treaty. It means nothing to an Athenian that you are the guardian of the Treaty. The Treaty means nothing. You are to be the guardian of that citizen, of your compatriot in Lisbon. So, it is the moment for the European institutions to decide whether they will be strong and relevant or weak and irrelevant. That is an existential moment for you, Sir, as well as for the Union itself.
    José Manuel Barroso: First, I have to react to a statement you have made when you said that the Treaty means nothing (even if you are a moderator, it was not a moderate statement), I say to you, it means a lot, because one of the reasons we have a rise of unemployment in Greece is because the Treaty was not respected by the Greek authorities and by other countries. We have a Stability and Growth Pact, we have rules and those European rules were not respected by the Greek authorities, so these unemployed people in Greece should be told that the authorities of their country did not respect the Treaties that they have signed. Not only that country. So a Treaty means immense for Europe, not all, but the difference between the European order of today and the order of the First and the Second World War is precisely in that now we are a community based on law and common principles. Before we were a Europe based on balance of power, confrontation and even the worst. So to say that the Treaty means nothing, I simply cannot accept it. A community of law is fundamentally different from "l'état de jungle", from arbitrary powers. This is my first point.
    Second point, there I share completely your concerns, we have to go beyond the Treaties and I think I understand also because, as you said, coming from Portugal, I am in a very good position to understand it, there is a deep problem now of trust of the normal European citizen towards the European Union. We know that. One of the reasons being of course the consequences of the financial crisis, namely the social situation that is, as I have said it before, and emergency social situation in many of our countries. Now, to put the blame of this on the European Union is not only politically dishonest, but intellectually inadequate. The crisis was created not by the European Union or by the euro as some suggest. The crisis was created by unsustainable public debt and by irresponsible behaviour in the financial markets, not only in Europe, by the way. And we are feeling the consequences of the crisis that was originated either in the financial sector or in the national competences of our Member States, including the supervisory capacity. Now we are trying to have a Single Supervisory mechanism and it's almost done, but let's not forget that everything that happened in the banking sector in Europe so far happened under the authority, or should I say the lack of it, of the national supervisors. This is important to remind, because today people tend to suggest it was the fault of Europe. We are now equipping Europe to those kind of challenges and from that point of view we are making progress.
    Now, having said this, I know this will also not respond to the concerns of the unemployed citizen in Greece or Portugal or many other countries we could quote. That is why I also think that we are reaching the limits of the current policies. The current policies are of course appropriate in terms of reducing the biggest challenge that we have today which is the challenge of unsustainable debt, public and private, the need to deleverage, the need to put Europe on a sound footing so that Europe can be more competitive and can have growth again, but growth that is sustainable, because what we have learned, and this is for me the biggest lesson of the crisis, and I think a lesson that we have not yet all completely drawn, is that growth based on debt is not sustainable. Growth based on unsustainable public or private debt is artificial growth and what we need is to have growth that is sustainable, namely based on increased competitiveness in Europe. This is what we need. This is the greatest lesson to draw from the crisis.
    So while this policy is fundamentally right, I think it has reached its limits in many aspects, because a policy to be successful not only has to be properly designed. It has to have the minimum of political and social support. I know that there are some technocratic advisors who tell us what is the perfect model to respond to a situation, but when we ask how we implement it, they say that is not my business. This cannot happen at European level. We need to have a policy that is right. At the same time we need to have the ways, the means of its implementation and its acceptance, the acceptability, political and social. This is where I think we have not done everything right, responding directly to your question. We have not been able collectively, the European institutions, the Member States, to explain really what was at stake and to build the necessary support. And then we have this unacceptable prejudice coming on. The idea, in some of our Member States, the states in the periphery (to simplify) that the problems they have, they have not created it, that it was created by someone, probably Berlin or the European institutions, or the IMF. It was not created by the others. But also the other prejudice that exists in some of the, let's say, central countries or more prosperous countries, that there was some kind of inability of the people from the periphery or from the South, that some of these people are by definition lazy or incompetent. And this is a deep problem. It is intolerable, morally unacceptable. Coming myself from one of those countries I can tell you myself that Portuguese people are extremely hardworking people and all kinds of comments, based on national prejudice are simply against the European values. The issue is in fact that there are different levels of productivity and competitiveness in Europe, but not all these problems are because of qualities of the peoples or of the nations. On the contrary, they have very objective reasons and we could go one by one. And we have seen in the history, and we don't have to go back very far in history, that countries change very often in terms of being the successful stories or the bad pupils of the economy. The point is more in terms of management, technology, policy, wrong or good decisions, policy and politics matter. And this is the important point and I want to make that point very strongly that as President of the Commission (what you have said and I take your challenge) I have a duty and I want to say that it is unacceptable the kind of national prejudices that I see so often in the political debate today and that we have, those who believe in Europe, we have to fight against this populistic, nationalistic tendency.
    Ian Traynor (The Guardian): If I understand you correctly you are saying that basically the austerity policies that have been the principle response to the crisis have run against the limits and cannot really be implemented without the necessary levels of political and social approval and support. This has been the principle response through the past three years and it is time to admit that these policies are not working. Can you comment on that and what are you suggesting?
    José Manuel Barroso: The Commission has never and will never propose a policy that is only based on the correction of the deficits. This is certainly a difficult policy to implement, because we believe that without correcting the imbalances in public finances, we will not have confidence and without confidence, we have no investment. And without investment there is now growth. But our response to the crisis, our policy proposals, has always been a comprehensive response. It is the structural reforms for competitiveness, it goes from the points that are in the so-called Europe 2020 agenda to very important policy recommendations that we have been making in the Country-specific recommendations that are sometimes very difficult to accept at national level, because they introduce more flexibility in our markets, but also it is about trade. Trade is a very important driver for growth and we believe it has a great value for Europe today to promote this kind of trade opportunities (not only for Europe, but certainly for Europe as well) and it goes also for investment. As you know the European Commission has presented what we consider as ambitious Multiannual Financial Framework for European investment. It was reduced in ambition in the consensus reached, because unanimity was required by the Member States, but we are putting forward an agenda for investment; it was the Commission who first proposed for instance the project bonds that are now starting to be implemented; the increase in the lending capacity of the European Investment Bank. So, we have a policy for growth.
    Politically and socially, one policy that is only seen as austerity, is of course not sustainable. That is why we need to combine the indispensable, I underline indispensable, correction of the disequilibria in public finances, namely huge deficits, huge public debt, fiscal rigour, this is indispensable, we need to complement this with proper measures for growth, including short term measures for growth, because we know that some of those reforms take time to produce effect. What is going on in Greece, in Portugal, in Spain is amazing in terms of correction of the external imbalances. It is amazing what some of these countries have been doing, for instance Portugal and Ireland, Ireland even more, in terms of recovering the confidence of markets and the investors. Let's not forget that the programmes that were designed were basically for this purpose, because those countries could not by themselves find the necessary funding for the functioning of the state. That is why they have asked for the Euro area's support.
    Now, this is indispensable, but it has to be complemented by a stronger emphasis on growth and growth measures in the shorter term. We have been saying this, but we should say it louder and clearer. If not, even if the policy of correction of the deficit is basically correct, we can always discuss the fine-tuning, the rhythm or the pace, but that will not be sustainable politically and socially.
    In terms of the fine-tuning, let me tell you, probably you have not taken sufficiently notice of it, the European Commission has been proposing, because the final decision is taken by the Eurogroup and by the ECOFIN (politically by the Euro area and the Eurogroup, but formally by the ECOFIN) the extension of the timelines for the correction of the deficits. We have done it for several countries, we will probably do it for others in the next evaluation. We are now making that review in dialogue also with the Member States. This has not been sufficiently acknowledged. We have put the emphasis, and it is clear also in the communication of Vice President Rehn, on the structural deficit rather on the nominal deficit. This is an important point. I am saying that because some people suggested the Stability and Growth Pact is blind and this is simply not true. There is inherent flexibility in the Stability and Growth Pact to implement this policy. So, I think I was clear and I should not be misunderstood. While the correction of the excessive deficit is indispensable to recover confidence (If not what happens is that markets and investors will once again put a very big risk on those countries and so they run the risk of losing what they are getting in terms of renewed credibility), it has to be complemented by stronger measures and also political agreement for growth including short term growth measures. This is the policy that is right to do.
    You said this policy is not producing results. I am sorry, we have to see that case by case. Ireland is going back to growth, it has positive growth. It is one of the very few countries that has positive growth today in Europe and they have been implementing one of the toughest programmes of adjustment and they are also already now in positive territory in terms of employment. So, can you say that the programme is not working? It is a painful programme certainly, but you cannot say it is not working.
    The short term objective of the programme for Portugal was the country to go back to the markets and in terms of reduction of the spread of the country's debt it is amazing the progress that was achieved, at a very difficult cost in the short term for our citizens, that is certainly true, but creating conditions for longer term sustainable growth, including by the way with the extremely good results in terms of correction of external imbalances and this also applies to Greece and to other countries. A country that people don't speak about probably because it is smaller, Latvia, a country that is not in the Euro area, but in fact it is as if it was, because there was no competitive devaluation. They went from very negative figures in terms of growth to positive - one of the most impressive growth figures in Europe today.
    So to say that generally the programmes don't work or the programmes work, is a simplistic vision. We have to have tailor made solutions for different countries, fine-tune the policy responses. They are very complex policy mixes. We cannot apply a one-size-fits-all approach to the European countries and in this Commission this is the vision we are going to defend with our Member States, keeping in mind that the solutions in the end are taken by the Member States. I want to underline this as well, because sometimes people say it is the Commission, it is the Troika. The Commission and the Troika propose. At the end the decisions are taken by the Member States where by the way we have from all political and ideological colours. I think it would be important, while of course giving different contributions to this debate, to avoid simplistic ideological polarisation of this debate. After all the Eurogroup is now presided by distinguished Member of the socialist family. Nobody is going to say that the Eurogroup is a socialist body or that the Commission is EPP body or that the European Council is I don't know what. No. What we need is a real consensus among the most important political forces and optimally the most important social partners on our way forward. And this is very challenging, but I believe those who want to over simplify the situation putting it as a kind of an option between austerity and growth are completely wrong. We need sound fiscal policy. We need deeper reform for competitiveness and we need investment, namely with a social dimension.»